Notizie dal fronte – 3: stereotipi

La scuola non mi ha insegnato nulla, conosco alcuni stati e alcune capitali, so fare i calcoli e ricordo un po’ di avvenimenti storici, ma la vita e come vivere non sono cose che ti insegnano in quell’ambito, anche se dovrebbe essere la prima preoccupazione degli insegnanti, e prima ancora di quei genitori che spingono a proseguire gli studi.
C’è una canzone, che negli anni avrebbe sempre rappresentato molto per me, che esprime al meglio questo concetto e la volontà di vivere gli eventi invece che farsi vivere da essi.

Black man gotta lot a problems. But they don’t mind throwing a brick. White people go to school Where they teach you how to be thick. (The Clash – White Riot)

In pratica questo estratto della canzone dice, traduco letteralmente, “i neri non temono la lotta e non hanno paura a lanciare un mattone. I bianchi vanno a scuola a farsi insegnare come essere di spessore”,  uno spaccato della vita ne l’Inghilterra degli anni 70, una riflessione sull’agire con la propria testa consci dei problemi che vanno affrontati.
Il contrario di ciò che ti offre la scuola, surrogato del sistema, è esattamente questo, poche informazioni, una visione del mondo e una soltanto che un tempo prevedeva il diploma di maturità come obiettivo massimo, ma ora se non hai una laurea non sei nessuno e quando c’è l’hai ti ritrovi a fare i concorsi per diventare cassiere di McDonald’s, quando ti va bene.
Ma le cose importanti della vita, quelle che ti aiutano ad andare avanti e ad interpretare e affrontare le difficoltà, le ho apprese da mio nonno materno, mentre da mia madre ho imparato ad esprimermi e a relazionarmi col prossimo.
Queste sono le mie basi, cose che non ti insegneranno mai tra i banchi di scuola, da qui ho costruito e continuo a costruire me stesso.
Ma al termine delle scuole medie ero solo un ragazzo insicuro, preda di complessi di inferiorità, che veniva costretto a proseguire gli studi perché ormai non usava più fermarsi in terza media.
Io sarei voluto andare a lavorare, non volevo più saperne della scuola e dei nuovi compagni di classe che avrei trovato sul mio cammino.
I miei genitori ovviamente erano di un altro avviso, così scelsi, quasi per disperazione e sicuramente per esclusione, l’istituto alberghiero, il colmo considerando la malattia che avrei dovuto affrontare da lì a poco, ma ai tempi continuavo a non avere coscienza del problema.
Scelsi l’alberghiero anche perché non ho mai avuto voglia di studiare, quindi un vero e propri liceo era escluso a priori, ma soprattutto perché da qualche anno avevo iniziato a nutrire una qualche passione per la cucina, un interesse che mia nonna materna ha contribuito ad alimentare.
Da piccolo passavo molto tempo con i miei nonni materni che per molti versi mi hanno cresciuto. Da un lato mio nonno, commerciante di frutta e verdura, mi insegnava la stagionalità, a riconoscere quando un frutto fosse maturo e a prevedere i cambiamenti del tempo.
Mentre con mia nonna cucinavo, o meglio, la guardavo cucinare e quando potevo le davo una mano, e la cosa mi affascinava molto.
Sono stati i miei nonni materni, Lucio e Rosa, ad avermi insegnato i valori fondamentali della vita attraverso il modo in cui vivevano e avevano vissuto, anche attraverso i racconti di ciò che avevano passato in tempo di guerra.
Mio nonno è un partigiano, uso il presente perché non si smette mai d’esserlo, e si può dire che da lui abbia proprio imparato a resistere.
La guerra, diverse malattie, non l’hanno mai messo in ginocchio, si è sempre rialzato esprimendo una tenacia ed un impegno che rappresentano l’eredità più grande che mi potesse lasciare, anche se non sempre riesco a rendergli onore, ma se oggi sono ancora qua a scrivere della mia vita è solo grazie a lui
E ora che ricordo, fu proprio per mio nonno che decisi di continuare gli studi, sapevo che gli avrei dato una grossa delusione perché lui, ai suoi tempi, non possedeva i mezzi per studiare e la guerra gli tolse ogni minima opportunità di farlo.
Iniziai l’istituto alberghiero quindi e il primo anno fu un inferno, ma allora non potevo sapere che quello vero si sarebbe presentato da lì a poco, le radici però risalgono a quel periodo, tra il 94 e il 95.
Quando mi abbuffavo di nascosto mentre mia mamma dormiva, subito dopo pranzo senza alcun appetito, ma solo per placare una voragine che mi portavo dentro, mai e poi mai mi aveva sfiorato l’idea di avere un problema, ero goloso mi dicevo, cosa che confermavano anche i miei parenti.
A metà degli anni novanta l’anoressia e i disturbi alimentari in generale erano forse meno diffusi o conosciuti di quanto non lo siano ora o, se non altro, se ne parlava raramente, e quando questo capitava spesso veniva fatto con l’attenzione rivolta sopratutto al sesso femminile.
Pareva quasi che i disturbi alimentari dovessero essere una loro triste esclusiva, una prigione privata, un’etichetta che prima o poi ti agguanta, una condanna dettata dallo status, da come la società tende a stereotipare il corpo femminile.
Spot pubblicitari, televisione, film, modelle e vallette di turno, tutti stereotipi della nostra epoca che trasmettono un’immagine femminile privata di ogni soggettività e ridotta a un corpo che deve rispettare tassativamente determinati parametri e misure per essere accettato.
Questo è il messaggio che arriva agli adolescenti in quegli anni di oblio e che forse arriva tutt’ora, portando spesso a desiderare di immedesimarsi e prendere ispirazione da un personaggio di fantasia, piuttosto che da modelli imposti dalla società, ma questo processo di auto difesa lo spiegherò più avanti.
Il problema è che quando si è attanagliati da un’insicurezza che azzera ciò che sei e si vorrebbe disperatamente assomigliare a qualcun’altro, a quel punto le misure, il peso, l’aspetto e la bilancia diventano le ossessioni più grandi.
Ma questo vale tanto per una ragazza quanto per un ragazzo, anche se a livello sociale questa cosa ancora adesso viene poco accettata.
Ho aperto questo blog perché possa essere di un qualche aiuto o sostegno a chi si ritrova in quanto scrivo, quindi voglio lanciare un appello a chi magari in questo momento si trova in una situazione analoga.
Uscite allo scoperto, non abbiate paura di ammettere l’esistenza di un problema, non sto dicendo che sia semplice, al contrario, ma è il primo passo per risolverlo, e fatelo a testa alta, prima che sia troppo tardi e fieri di questo passo, perché rappresenta il primo di una lunga serie verso la libertà!

Consiglio musicale: White Riot

Dedicato a chi si crede solo/a

Continua…

Puntate precedenti:
Notizie dal fronte – 1: guardando nel buio
Notizie dal fronte – 2: l’inizio del tunnel