Nei primi anni del 2000 due avvenimenti si fecero largo nella mia vita e ne avrebbero per sempre segnato la direzione: una promessa e una passione che stava nascendo in me.
Il primo risale a molti anni prima, circa una decina, avevo quattordici anni e nonostante non avessi alcun tipo di interesse particolare neanche a livello musicale, nel 1994 un fatto mi scosse nel profondo: il suicidio di Kurt Cobain.
Non avevo mai ascoltato i Nirvana in maniera seria o approfondita, almeno fino ad allora, giusto qualche canzone ogni tanto e anche distrattamente, ma sapevo chi era lui e la sua morte, in quel modo, mi travolse.
Non riuscivo a darmi pace, non capivo perché un ragazzo di ventisette anni, sposato, con una figlia e leader della band che segno la vita di un’intera generazione sconvolgendo la scena musicale di quell’epoca, potesse giungere ad un livello di disperazione tale da togliersi la vita.
Lo so, anche io penso che non si sia suicidato, ma a quei tempi era la notizia e la versione più diffusa.
Di recente sono andato a vedere l’ultimo documentario uscito sulla sua vita, quello girato col benestare della figlia e della moglie: un insulto alla sua memoria.
Il messaggio principale che scaturisce da questo documentario è che lui era un tossico perché aveva problemi mentali e quindi poi si è ucciso, consegnando così alle generazioni che hanno abbracciato i Nirvana dopo la morte di Kurdt (come lui amava firmarsi) un immagine distorta di ciò che lui era.
Come capita per diverse questioni, vi consiglio di leggere i libri scritti sulla sua vita e di non basarvi solo sui documentari, “Più pesante del cielo” è probabilmente quello più completo.
Detto questo. La sua morte mi sconvolse, a quei tempi non potevo capire quale pressione potesse sentire sulle sue spalle una persona che è sempre al centro dell’attenzione, e quanto questo lo opprimesse invece di renderlo felice e fiero.
Iniziai a documentarmi sulla sua vita, a leggere, guardare ed ascoltare ogni cosa che riguardasse Kurdt e i Nirvana, che restano uno dei miei gruppi preferiti, ma in un modo molto particolare, come se li sentissi anche quando non gli ascolto, una sorta di filo conduttore che mi collega a tutti gli altri.
Più cose apprendevo sulla sua vita, più mi trovavo in sintonia con lui e notavo diverse similitudini tra di noi, non artistiche ovviamente (non voglio essere blasfemo), ma a livello caratteriale, umorale, per come affrontava le vicissitudini della vita e il modo in cui si relazionava con le pressioni e le responsabilità che sopraggiunsero con la fama.
Io non sono una persona famosa, non punto ad esserlo, anzi, spesso preferirei essere dimenticato.
Però dai trenta anni in poi ho iniziato ad occuparmi di alcune cose, di cui vi parlerò in seguito, che mi hanno portato a dovermi caricare di molte responsabilità e trovarmi spesso, se non sempre, al centro della situazione al seguito di alcune mi caratteristiche.
In trentasei anni non ricordo un periodo della mia vita in cui posso dire di essere stato bene, sia fisicamente che mentalmente, ma passati i trenta il mio fisico ha iniziato gradualmente ad abbandonarmi, aggravando ulteriormente le mie problematiche di stomaco già precarie.
Stare bene, troppo spesso è una condizione che viene data per scontata, “se si ha la salute si ha tutto” spesso si sente dire, ma la salute è determinata da tante cose e il mio limite più grande è sempre stato quello di non rendermi conto in tempo di quei rari momenti di pace che ho incontrato.
Per me “stare bene” non è solo una questione di salute fisica, quella non mi appartiene ormai da tempo o mai mi è appartenuta, ma una condizione di pace interiore che solo l’abbraccio con la persona giusta può consegnare. Una sensazione che ha il potere in un istante di ricucire ferite aperte da decenni, di ricostruire là dove ormai c’era solo desolazione.
Nel 1994 la mia malattia muoveva timidamente i primi passi e in quei momenti, quando non capisci cosa stia accadendo, non ti spieghi perché stati così male e perché sei costretto ad affrontare tutto da solo, può capitare di cercare le risposte paragonando la propria vita a quella di altri, nella disperata ricerca di dare un senso al tutto.
Io mi rivedevo e, per certi versi, mi ritrovo ancora adesso in quella che fu la vita di Kurdt, nella sua situazione famigliare ad esempio situazione famigliare. Non ho mai ritenuto di avere una famiglia nel senso stretto della parola, ero forse l’unico bambino sulla faccia della terra a desiderare fortemente che i genitori divorziassero.
Sento di esser stato cresciuto dai miei nonni materni durante l’infanzia e buona parte dell’adolescenza, mi mamma poi mi è stata vicino per tutto il decorso della malattia e oltre.
Con mio padre erano più le botte che ci davamo che altro, e mio fratello ha sempre subito questa condizione “familiare”, perennemente diviso tra le varie posizioni senza riuscire mai a comprendere bene perché certe cose accadessero.
Ma si sa che il secondo genito vive degli agi derivati dagli errori già commessi dai genitori nell’allevare il primo figlio, e di conseguenza gode di maggiori libertà, però, nel caso di mio fratello, a causa mia fu costretto ad assistere a brutte situazioni anche quando era ancora piccolo.
Oltre alla passione per la storia di Kurdt e le varie affinità, nei mesi successivi alla sua morte mi investì un pensiero che in breve tempo divenne una promessa e poi un’ossessione.
Kurt aveva tutto quello che desideravo io a quell’età e nonostante ciò si uccise, allora decisi che se a ventisette anni fossi stato nella stessa situazione di solitudine e disperazione in cui mi trovavo a quattordici anni, anche io mi sarei tolto la vita.
Per un po’ di tempo dimenticai questa promessa, ma nei primi anni del 2000 tornò a galla, sbalzata a riva da quella mare di solitudine e desolazione che mi stava travolgendo.
Consiglio musicale: Best of You
Dedicato a chi si crede solo/a
Continua…